05 – L’albero di Caterina Percoto

Percorso turistico Dedicato a Caterina - Percorsi di Terra e Cultura

N.5 L’albero di Caterina Percoto
Caterina Percoto, da donna a donne…

A pochi passi da Casa Percoto c’è un albero centenario dove Caterina spesso si recava da sola per godere di qualche ora di pace e di solitudine. Li, assieme al suo zigarro poteva riflettere con calma, considerare fatti e persone senza l’assillo della casa o dei campi anche se spesso, come leggiamo nella sua corrispondenza, sentiva più forte la solitudine… Matrimonio? No grazie – Sul fatto che Caterina non si fosse mai sposata sono state fatte molte congetture: l’amarezza per un amore giovanile andato male, il carattere troppo scontroso e indipendente, il desiderio di mantenersi libera per occuparsi della madre, dei campi e della scrittura… ma nessuno, mai, ha ipotizzato l’idea più ragionevole e cioè che Caterina fosse rimasta nubile per la mancanza di un uomo per cui fosse stato meritevole rinunciare alla libertà e all’indipendenza. Nel suo diario, leggiamo che nel 1836 Caterina accettò di fidanzarsi, anche se non per motivi sentimentali, con un ricco parente: ‘l’amore dei miei cari, la speranza di essermi ingannata nel formare sinistro giudizio di quest’uomo, che mi mostrava tanto disinteresse, la certezza di attirarmi (sic) col mio rifiuto gravi danni e disgusti, mi persuasero ad acconsentire’ (BCU, f.p., MS4104/3). In questo periodo, Caterina appare convinta della necessità di adempiere ai suoi doveri che erano quelli di trovare un marito per adeguarsi alle regole sociali (una donna ‘zitella’ e per giunta nobile sarebbe stata vista in modo estremamente negativo come un outsider). In lei non esiste la possibilità di rinunciare e nel suo cuore cerca comunque di darsi un traguardo positivo: ‘forse, io mi diceva, il tempo scoprirà in lui delle qualità stimabili ch’io non ho finora avvisate, forse la gratitudine ch’io gli debbo cancellerà in me ogni senso di avversione, e se non potrò amarlo, lo compenserò con la mia stima, e col sacrificio di tutta me stessa’. Incontro dopo incontro, però, Caterina sente di avere di fronte ‘un uomo scioco (sic) e senza principi di sorta’ oltre che estremamente ignorante: ‘se avessi veduto con che aria da dottore andava insegnandomi che cosa è antipodo Equatore clima grado parallelo. Potrei segnarti una pagina intera di città fiumi isole stroppiate (sic). Se non fosse venuto il Conta A. a liberarmi costui mi devastava il mondo più che non fece il diluvio’. Inoltre, sempre più forte cresce anche una repulsione fisica ‘ei non sapeva, che piuttosto ch’entrare nelle sue braccia, sarei mille volte discesa viva nella corruzione del sepolcro?’. Combattuta, triste e incompresa, Caterina però ad un certo
punto si chiede come ‘poss’io obbligare il mio cuore a sentire ciò che non sente?’ e la risposta arriva fatale ma decisa ‘son libera e saprò mantenermi tale, o morire’. Ovviamente, questa
risoluzione suscita una reazione molto violenta della famiglia ‘i miei più cari, quelli al cui bene io avrei sacrificato la vita, e quanto di più dolce, la solitudine, sono stati i primi a rompermi la guerra.
Hanno scambiato con’odio il più crudele (sic) l’amore ch’io loro portava’: ma la decisione di Caterina è presa e, dopo un periodo di tristezza e sconforto, lentamente come sempre il lato
positivo di tutta la situazione appare ai suoi occhi: ‘Se tutti i legami che ti potevano congiungere alla società sono spezzati almeno il tempo è tuo ed in questa solitudine dove gli uomini ti hanno
condannata tu puoi bene impiegarlo come meglio ti aggrada’ (BCU, f.p. 3995/II, MS1407)… L’impegno per l’educazione femminile – ‘Ti parlerò delle donne. Bramo tu sappia essere cotesto il
mio prediletto argomento’: questa citazione è presa dal fitto epistolario dell’autrice con la contessa Marina Sprea Baroni Semitécolo, sua grande amica e confidente, affine a lei come
intellettuale e come figura di donna impegnata e attiva anche al di fuori della famiglia. Per tutta la vita, Caterina terrà fede a questa affermazione, impegnandosi in prima persona in numerose
attività, mossa dalla convinzione che un cambiamento sarebbe stato possibile principalmente attraverso l’educazione. Spesso vediamo l’autrice sottolineare, facendo riferimento all’educazione
femminile nei conventi, come ‘si torca e si snaturi e si maltratti fino dagli anni più teneri questa pianta che si chiama donna’ (BCU, f.p. 3995/1, MS 195) obbligandola al ricamo e al tombolo invece di aprirle la mente ‘ai piaceri dello spirito’ (BCU, f.p., MS4088) ovvero dello studio. Nel 1868, a causa del grande lavoro dato dall’amministrazione delle sue terre, Caterina è obbligata a declinare l’offerta di diventare direttrice dell’Istituto Uccellis che nel mentre era diventato un’istituzione laica.
Ma nel 1869 accetta dal ministro dell’istruzione Cesare Correnti la nomina di Ispettrice degli Educandati Veneti (anche spinta dalla necessità di un buon compenso: lo stipendio infatti era di
150 lire mensili più una diaria di 6 lire al giorno… notevole per i tempi!). Da questa data fino al 1871, l’autrice assieme alla nipote Vittorina che le fa da segretaria, si reca in asili, scuole
elementari, magistrali, orfanotrofi e istituti di rieducazione a Belluno, Treviso, Venezia, Padova e in tutto il Friuli. Nelle sue visite, però, si rende conto che la resistenza verso una nuova educazione femminile è forte e che spesso le ragazze vengono istruite per assolvere a meri ruoli ancillari invece che per ottenere delle competenze utili a uscire dal ruolo servile. Interessante è che Caterina guarda anche ‘i libri di testo’, scoprendo che spesso alle ragazze vengono dati romanzi invece che libri dai quali realmente imparare. La Percoto scrive relazioni intense a Cesare Correnti che, come lei, condivide l’idea che ad insegnare possono essere anche persone appartenenti al clero purché siano preparate e determinate a far crescere le alunne attraverso lo studio (in questi anni, infatti, c’era anche una corrente di pensiero molto sentita che mirava alla totale laicizzazione degli istituti di educazione). Tra le sue mansioni, Caterina guarda anche i libri contabili che trova spesso pieni di errori e di voci fasulle. L’energica contessa cessa di essere ispettore nel 1871: diversi biografi associano questo al mancato rinnovo della carica Cesare Correnti. Forse però è legittimo pensare che, con le sue relazioni scritte, fosse diventata un elemento ‘scomodo’ e, in quanto tale, da eliminare. Sarà infatti solo nel 1875 che la sua competenza verrà riscoperta con la proposta di diventare ispettrice degli istituti scolastici femminili dell’Alta Italia ma sarà troppo tardi perché le precarie condizioni di salute di Caterina la obbligheranno a rinunciare.

Novelline pedagogiche
Come possiamo vedere nell’accurato volume Raccontini a cura di Edoardo Colombaro (Udine, 2020), Caterina fu molto sensibile al racconto come mezzo pedagogico. Per quanto riguarda l’educazione femminile, l’autrice pubblicò nel 1865 un gruppo di novelle scritto proprio per le ragazze, Dieci raccontini per fanciulle, pubblicato dall’editore Weis di Trieste. Questa raccolta è composta da scritti che erano già stati pubblicati singolarmente ne Il giornale delle fanciulle, presentato così dall’editore in occasione dell’uscita del primo numero:
‘Pubblicando un giornale esclusivamente dedicato alle fanciulle, crediamo di adempiere ad un bisogno generalmente sentito; ma per ben corrispondervi richiedonsi degli studi e delle cure
speciali, che non ponno essere attivati così sul subito, e di cui questo primo numero non sarà che il preludio. Il lavoro. L’educazione. L’istruzione (scienze e lettere). L’economia domestica. L’igiene. I principi elementari del diritto a norma del viver civile (…). Tutto ciò insegnato direttamente alle fanciulle con modi ameni e variati a seconda degli argomenti or colle attrattive del racconto e della leggenda, or con quello dello stile epistolare e del dialogo, e sempre in un linguaggio facile’ (Giornale delle fanciulle anno I, n.1 – gennaio 1864). Una delle novelle percotiane più interessanti che troviamo nel volume è ‘La Scuola di Campagna’ dove l’autrice ci fa entrare di in una piccola scuola di paese vicino a Soleschiano, creata solo per le bambine e le ragazze. Qui, le allieve non imparano solo i lavori dei campi e quelli di casa, ma anche a leggere e a fare di conto assieme a qualche piccolo rudimento di cultura. In questa novella l’autrice lascia andare la penna ad un argomento a lei molto caro e, nel sottolineare spesso l’importanza di un educazione anche per le ragazze, sta molto attenta ad indicare come l’organizzazione della scuola anche logistica sia pensata per non interferire con i ritmi ‘produttivi’ della giornata: talvolta infatti le lezioni si tengono nella stalla, talvolta in cucina o in campagna e, d’inverno, sotto la cappa del focolare e questo dimostra come si possa coniugare facilmente studio e lavoro. Bellissima è la figura della maestra Lucia che, avuto in gioventù la possibilità di imparare tante cose e avendo toccato con mano l’utilità della conoscenza, decide di condividerle con gioia ed entusiasmo con le sue giovani ‘studentesse’… Alla ricerca di un’identità femminile – Sicuramente, anche stando tranquilla sotto le fronde del
possente albero centenario, Caterina avrà riflettuto a lungo sulla condizione femminile e sui tanti limiti inutili creati dalla società unicamente per evitare una loro partecipazione attiva alla
comunità. Nei Racconti, l’autrice non formulerà apertamente i suoi pensieri e non sarà capace di proporre ‘nero su bianco’ reali soluzioni. Analizzando le sue novelle, però, è possibile rilevare
come lei riesca comunque a suggerire come una ‘coscienza femminile’ esista e lo fa principalmente scrivendo su tre tipi di relazione: quella tra uomo e donna, tra donna e bambino e tra donna e donna. Per quanto riguarda la relazione tra uomo e donna, questa viene trattata principalmente all’interno del matrimnio che Caterina presenta su due piani diversi. Accanto infatti alla celebrazione dell’affetto coniugale tipico della letteratura del tempo, l’autrice si stacca radicalmente da tutti i cliché proponendo la dissoluzione del mito dell’amore eterno e della famiglia vista come unica possibilità di realizzazione per la donna. Nella novella ‘Il contrabbando’, Giannetta chiama il suo matrimonio un ‘inganno’ e parla di suo marito come un’anima inaridita.
Ne ‘La sçhiarnete’, l’autrice arriva a descrivere il matrimonio addirittura come una deprivazione dell’identità della donna. Il fallimento della realtà coniugale si manifesta anche in diverse
situazioni dove le donne si trovano sole a cercare la soluzione a mille problemi, dalla ricerca di cibo per la famiglia alla difesa dell’onore del capofamiglia nei confronti del paese. Personaggio
totalmente inedito è la Contessa Ardemia che, divorziata e per questo allontanata dall’alta società, trova nella vita in campagna un inaspettato appagamento e una vita piena di gioia e soddisfazioni (pare che la Percoto fu la prima nella letteratura italiana a parlare di divorzio!): non a caso, diventa se stessa proprio quando non è più ‘la moglie di…’.
Un’interessante relazione dove le donne trovano una loro identità è invece quella con i loro bambini: lontana dagli stereotipi del tempo che volevano le donne unicamente come ‘accuditrici’, Caterina mette in evidenza la capacità solo femminile di ‘dare la vita’ ad una creatura che, una volta cresciuta, diventerà una persona a sé stante con un suo volere e capace di dare il suo apporto alla vita di altri.
Questo elemento distintivo è così forte che anche le donne che non possono avere bambini ricercano l’esperienza della maternità attraverso i bambini di altre. Caterina stessa, nubile e senza figli, proverà questa emozione attraverso i figli di suo fratello Costantino, annotando con estrema dolcezza che ‘invece di zia o cugina mi chiamano mamma’ (BCU, f.p. 3995/I, MS362). Sul tema dell’identità femminile, però, una vera novità, totalmente inedita, che ci presenta l’autrice è quella dell’amicizia tra donne che diventa uno spazio ‘neutro’ nel quale è possibile sentirsi vicine attraverso la condivisione di dolori, speranze e confidenze. Ai tempi, l’amicizia tra donne era vista come un elemento negativo perché distoglieva la donna dal suo dover essere solo moglie e madre. In realtà, però, almeno tra le donne che sapevano scrivere (specifico questo perché è dalle lettere ancora conservate che possiamo desumere questa affermazione), l’amicizia era un sentimento molto forte e questo lo possiamo vedere, per quanto riguarda la Percoto, dalla nutrita corrispondenza con altre donne dove il desiderio di condivisione dei fatti della vita è molto forte. Nei Racconti le donne non si vergognano di parlare delle loro vere emozioni, degli amori, delle cattiverie subite perché sanno che chi le ascolta ha patito le stesse situazioni. Addirittura Maria Eletta, una suora, ammette senza vergogna di essersi ritirata in convento a causa di un amore sfortunato e non per vocazione e Tina, la sua interlocutrice, prova per lei solo tenerezza e affetto, senza sentire nessun obbligo di giudizio. Così, allontanando la donna dall’unica dimensione ai tempi permessa, il matrimonio, e rendendola unica attraverso la maternità e la solidarietà con le sue simili, la Percoto riesce a dare alle ‘sue’ donne una nuova identità totalmente, e finalmente, femminile.

> Letture per il tema Caterina Percoto e le donne

Dal manoscritto BCU, f.p., MS4088 (testo scritto nel periodo Udinese, dopo Santa Chiara)
Io ricordo sempre con una specie d’affetto della cameretta romita, ch’io allora abitavo dove (…) io godevo la piena libertà di potermi occupare a mio gusto. Vi avevo portato Dante, la Bibia (sic),
l’Iliade, e con una specie di furore, come chi da lungo tempo è assetato e finalmente trova la sorgente di chiare, fresche e dolci acque mi innamoravo di poesia. Oh si! Per sette lunghi anni
chiusa nella solitudine di quattro mura (Santa Chiara), io avevo desiderato invano di respirare l’aria libera dei campi e di rivedere il nascere del sole e i tramonti della mia fanciullezza. Ma lo
spettacolo della natura che tornava allora a rallegrarmi il cuore non aveva confronto colla gioia divina che mi facevano godere i miei libri nella solitudine di quella povera cameretta.

Dall’articolo ‘Le donne letterate’, in Corriere delle Dame, 1 marzo 1853, p.80
Ma quando (le donne) lasciano la loro indole mite e soave, le loro semplici e tranquille abitudini; quando si gettano nel campo della letteratura e della scienza, allora vorrei che abbandonassero la gonna per indossare il paletot, che abbandonassero l’ago e la spola per afferrare il sigaro, che immolassero il loro nome di famiglia dinanzi all’altare della gloria, per affibiarsi un nuovo nome di
battesimo ad esempio di Giorgio Sand, ex madama Dudevant.

Dal manoscritto BCU, f.p.3995/I, MS195
Mi trovavo sola di donne in famiglia e il dover badare a lavori di ago, all’economia domestica, all’assistenza dei miei vecchi, mi pareva che mi rubasse tempo che avrei voluto dedicare allo
scrivere. Vennero dolorose vicende, poi sistemate le cose in famiglia, il fratello che unico era rimasto in casa, si ammogliò. Io beata, perché mi pareva che questo matrimonio doveva sollevarmi dalle tante brighe che mi opprimevano, e immaginavo di diventar padrona assoluta del mio tempo e di poter finalmente starmi nella mia camera a tutto mio agio e scrivere quanto voleva. Invece, tre anni di terribili amarezze non mi lasciarono neanche pensare alla penna. E questa bella pace che io mi riprometteva! Ora di tanti figli che aveva la mia povera Mamma con lei non sono rimasta
che io sola. Ho dovuto tornarmi ad occupare delle faccende di casa propri come e più di prima. Pazienza l’ago, la cucina, i nepoti; ma mi sono venuti addosso mille altri impicci di amministrazione, di foro… insomma, anche la parte che tocca a voi altri uomini.

Dal manoscritto BCU, f.p., MS4104/7
La educanda che ha subito per parecchi anni la clausura si è assuefatta a rigorosa disciplina, allorché viene a far parte del mondo, non sa ne guardarsi dall’altrui malizia, ne resistere alle non
buone inclinazioni. Ella è rimasta innocente, una bambina, e come i bambini debole tanto che il diletto le si presenta e l’attrae.

Dal manoscritto BCU, f.p.3995/I, MS558 (lettera a Verga con riferimento alla novella Storia di
una capinera)
La sua bella Capinera dove la fortuna della cara sua persona che ci fa vivere in Sicilia e che tocca con tanto cuore una delle più dolorose piaghe che affliggono la nostra società. Già grazie al codice Napoleone è sparita da un pezzo la triste consuetudine di sacrificare alla vita monastica le nostre giovinette ma dove tuttavia (permane) il barbaro costume di educare le Donne colla clausura. Ella ch’è giovane e ch’ebbe in dono dal cielo una parola così simpatica, così vera e così efficace non tralasci di farsi nostro campione. L’Italia le sarà riconoscente.

Dal manoscritto BCU, f.p.3995/I, MS409
Verga è per me il primo dei nostri scrittori viventi ed è forse il più morale con tutte le sue immoralità.

Dalla novella ‘La sçhiarnete’ (pagina 604)
Avevo dunque risolto (a sposarmi). Fidata nelle speranze di un certo avvenire, donavo con quella parola il mio cuore, le dolci abitudini della mia famiglia e dei luoghi in cui vivevo, la libertà
illimitata della mia via e le mie più intime convinzioni. Come un albero che ha di già attecchito e che si vuole trapiantare troppo tardi, mi avevo lasciato a poco poco scalzare tutte le radici e
aspettavo peritante di andarmene nell’ignoto terreno.

Dalla novella ‘La scuola di campagna’ (Raccontini – Udine 2020, pagina 101)
Mie piccole lettrici che imparate tante belle cose nelle vostre scuole di città, in oggi non ho potuto narrarvi che una povera storia di campagna. Queste scolarette contadine e questa maestra
contadina senza libri, senza giornali e con sì pochi mezzi d’istruzione vi avranno facilmente fatto sorridere. Scommetto io che non vi sareste mai immaginato che vi potesse essere al mondo una
scuola dove s’insegnasse a far la polenta! Guardata alle vostre belle manine così bianche e delicate, e pensate che cosa diverebbero se la sorte le condannasse a dover maneggiare la ronca o la falcetta. Vedete dunque che dovete ben ringraziare la Provvidenza di avervi fatto nascere in una posizione cotanto superiore a quella delle mie tre piccoline. In questo mondo v’è tanta diversità di destini, che quelle cose che convengono ad una classe di persone, non sono sempre adatte a qualche altra.

Dalla novella ‘Bastare a se stessi’ (pagina 554)
Qualunque sia il rango e la fortuna che ci è dato possedere a questo mondo; qualunque siano i favori di cui ha voluto colmarci il destino, la più grande di tutte le ricchezze è quella di potere in
ogni tempo, in ogni luogo e in ogni età bastare a se stessi.

Dal manoscritto BCU, f.p.3995/I, MS558 (a Verga)
La sua bella Capinera dove la fortuna della cara sua persona che ci fa vivere in Sicilia e che tocca con tanto cuore una delle più dolorose piaghe che affliggono la nostra società. Già grazie al codice Napoleone è sparita da un pezzo la triste consuetudine di sacrificare alla vita monastica le nostre giovinette ma dove tuttavia (permane) il barbaro costume di educare le Donne colla clausura. Ella ch’è giovane e ch’ebbe in dono dal cielo una parola così simpatica, così vera e così efficace non tralasci di farsi nostro campione. L’Italia le sarà riconoscente.

Pagina aggiornata il 26/02/2025

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